: // non ci chiederci

L(aura): lunedì ho l’esame cocleovestibolare

A(lessia): ma è labirintite?

L: no no. Dice che ho un timpano bellissimo. E’ più psicologico

A: io sono seguita da un bravo neurologo

L: magari mi dai il numero

A: mi succede quando guido, che perdo l’orientamento

L: quando lavoro al cad, perdo le coordinate

A: vertigini

L: come un baratro

A: sì, scusa vado a stendermi perché mi sento mancare

L: vengo anch’io

A: (stende le gambe sopra la testiera del letto)

L: (vorrebbe imitarla ma non c’è più spazio sulla testiera del letto)

A: credo che mi scappi da cacare

L: dici?

A: sì, forse era solo lo stimolo

(spruzza felce Azzurra per depistare l’olfatto)

A: comunque, il neurologo non è un brutto uomo

A: dico, invece che una pasticchina, una….

A: e poi sai che sicurezza, un neurologo in casa

L: come un pompiere

A: dici che è tranfert?

L: la Sindrome di Stoccolma

A cerca su google immagini dell’aitante neurologo: “Programma S(PAZZI) dalla distruzione del manicomio alla costruzione dei diritti”. Seconda giornata: “C’era una volta il manicomio”. Ci si va. Interviene lui: “La salute mentale in Toscana ieri e oggi”.

A: devo farmi notare. Così m’inserisce

L: io darò fuoco a un paio di Vogue. Chiamate il 115

Dalla poltrona sotto la finestra, aspettando che le fobie (e le perversioni) delle care amiche di giuochi passino, principio la sessione di audiovisivi delle 23;32, e provo a chiedermi perché. Ma a volte, non vale la pena farsi domande. Era solo una sana urgenza di sgombrare l’intestino.



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